Ultima modifica: 23 agosto 2017

Letture. La notte ha la mia voce di Alessandra Sarchi

Sarchi riprende un genere della grande tradizione letteraria per narrare un passaggio altro da quello che conduce dalla gioventù all’essere adulti. Il passaggio di confine si realizza attraverso il racconto di un’anonima protagonista che, anche grazie all’aiuto di Giovanna, soprannominata la Donnagatto, deve reimparare a vivere, ad andare «incontro al mondo», con un corpo diverso, estraneo, e con una «diversa dotazione», dopo un incidente che la obbliga alla paralisi degli arti inferiori.


È la lotta di un corpo bisognoso di interrogarsi e di riconoscersi tanto nell’intimità quanto nella «guerra quotidiana» da cui non è immune l’Occidente moderno, solo apparentemente tollerante e garantista e invece disposto a difendere «i più forti» qualora vada salvaguardata «la continuità della specie».
Nel confronto sia con le icone della danza sia con quelle della bellezza da carta patinata, Sarchi crea connessioni tra le diverse discipline e i diversi linguaggi nel tentativo di decrittare il corpo che viene sottratto a qualsivoglia semplificazione, rivendicandone la forza conoscitiva, immaginativa, la sua «sete d’infinito».
La tematica del corpo, sempre al centro della narrativa dell’autrice, trova in La notte ha la mia voce pieno sviluppo (è emblematica la comparsa nel romanzo di personaggi che abitano racconti scritti in passato). La rappresentazione della disabilità, specie se si considera la prossimità della condizione fisica tra l’autrice e l’io narrante, avrebbe potuto essere oggetto di una banalizzante lettura voyeuristica utile ai meccanismi mediatici. Al contrario, Sarchi annulla il rischio: con la scelta del genere finzionale, con l’uso di una lingua calibrata per restituire sulla pagina anche le miserie del corpo senza cadere nel pietismo, con pagine contraddistinte dall’assenza di palliativi religiosi, dove hanno legittimità la rabbia e l’ironia in modo da non falsificare la realtà e diversamente interpretarla.
Il corpo offeso offre una prospettiva altra da cui verificare il valore dell’esperienza in una relazione dialettica con il mondo, senza distinzione tra soggetto e oggetto, rielaborando in chiave letteraria le riflessioni di Merleau-Ponty nella Fenomenologia della percezione, a cui l’autrice guarda per il suo romanzo. Il corpo semiparalizzato, come tutti i corpi, sta alla base del processo percettivo e si interroga sulle possibilità e i modi che gli sono propri di rapportarsi al mondo: «è in un corpo e non altrove che noi conosciamo la vita».
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